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La coppia formata dallo sceneggiatore Luciano Secchi - in arte, Bunker – e dal disegnatore Roberto Raviola – al secolo, Magnus – creano la sensuale, rossa e luciferina Satanik a pochi mesi di distanza da nero e torbido Kriminal.
È il dicembre del 1964. Nello stesso anno, il 17 settembre, negli Stati Uniti, era andato in onda il primo episodio del serial televisivo
Vita da strega (
Bewitched), destinato a diventare uno degli show di punta del network ABC.
Quando, un anno dopo, sempre negli USA, la NBC lancia – in concorrenza con la sit-com interpretata da Elizabeth Montgomery e Dick York –
Strega per amore (
I dream of Jeannie), con Barbara Eden e Larry Hagman, il Italia il pocket su cui vengono pubblicate le storie di Satanik è già un affermato successo editoriale.
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Mentre, insomma, nell’immaginario pop mondiale la strega è ormai ridotta al ruolo di mogliettina fedele, alla ricerca di un tranquillo menage familiare, o di incontenibile cripto-geisha desiderosa di esaudire le volontà dell’uomo di cui è innamorata (anche se bisogna dire che la Jeannie di
Strega per amore è, di fatto, un genio della lampada), Magnus & Bunker invece intendono ricondurre il mito stregonesco alle sue origini.
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Cover di "Satanik" realizzate dall'art director Luigi Corteggi
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La strega come ribelle, quindi: una creatura che svela finalmente il marciume nascosto dietro la magnifica facciata del boom economico, lo specchio acido e cinico di una donna consapevole e indipendente capace di scardinare la mentalità patriarcale della classe borghese.
L’allegoria è evidente: perversa e dissoluta, bellissima e decadente, crudele e assetata di ricchezze, Satanik rappresenta l’alter ego di Marny Bannister, una venticinquenne docente universitaria di Chimica che a causa del suo volto sfigurato viene ripudiata dalla famiglia e rifiutata da una società maschilista e reazionaria.
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Grazie a una geniale combinazione di teorie scientifiche e ricerche alchemiche, la dottoressa riesce, però, a mutare il suo aspetto, trasformandosi nell’unica cosa che gli uomini, nella loro mediocrità, comprendono e a cui ambiscono: una donna bella e disinibita da esibire come uno status symbol e possedere come un oggetto sessuale.
Ma Satanik di quelle voglie e di quelle ambizioni incarna tutto il potenziale distruttivo, ritorcendole, come in un contrappasso dantesco contro chi le cova dentro di sé.
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Una raffigurazione metaforica quanto mai attuale, considerando che ancora oggi, all’inizio del nuovo secolo, la mente e il corpo femminile sono ancora prigionieri di discriminazioni, pregiudizi e odi atavici E che emancipazione e pari opportunità devono troppo spesso essere conquistate su un terreno denso di insidie e di false libertà.
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![© Max Bunker/Luciano Secchi]()
© Max Bunker/Luciano Secchi[/caption]
“Satanik” di Bunker e Magnus torna adesso in una nuova collana mensile edita da Mondadori Comics. Il primo volume esce ufficialmente oggi in edicola, per rendersi disponibile nel giro di qualche settimana anche nelle librerie, nelle fumetterie e negli store online. Quattordici uscite che accorperanno, in libri cartonati, dalla foliazione densissima, le storie che hanno reso Marny Bannister la dark lady per eccellenza del fumetto italiano.
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Per festeggiare questo evento – che cade a mezzo secolo di distanza da
La legge del male, il primo numero originale di “Satanik”, all’epoca pubblicato dall’Editoriale Corno – abbiamo deciso di recuperare
Il vento dell’Est. un articolo esemplare scritto da Luigi Bernardi un quarto di secolo fa. Una testimonianza unica e preziosa per comprendere quale impatto ebbero fumetti come “Kriminal” e “Satanik” su un’intera generazione di lettori.
Bernardi, venuto purtroppo prematuramente a mancare l’ottobre di due anni fa, è stato uno dei massimi esperti di “fumetti neri” in Italia. Un interesse che è sfociato dapprima nell’ideazione e nella supervisione di “Nero”, leggendario magazine – edito dalla scomparsa Granata Press – che rivisitava, con un approccio revisionista, il mito degli antieroi italiani in costume, per poi concretizzarsi ulteriormente nella sceneggiatura di due straordinari graphic novel,
Fantomax: non temerai altro male e
Carriera criminale di Clelia C., disegnati rispettivamente da Grazia Lobaccaro e Onofrio Catacchio.
Quest’ultimo, in particolare – che di Bernardi ha illustrato pure il sulfureo
Gaijin!, tratto da una bizzarra piece teatrale – è uno dei tre principali ideatori e artefici della nuova, inedita collana a fumetti di Kriminal, che Mondadori Comics lancerà ai primi d’autunno di quest’anno.
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Non è un caso, perciò, che Bernardi compaia nel ruolo narrativo di un esperto conoscitore della filosofia contorta e amorale di Kriminal nel numero 0 della serie, presentato all’ultima Lucca Comics & Games.
Il vento dell’Est, viene qui proposto grazie al cortese e immediato consenso di Marco Bernardi, figlio di Luigi, uno dei fondatori dell’
Associazione Culturale Luigi Bernardi, realtà bolognese che si occupa di iniziative legate alle tematiche amate e affrontate in vita da questo poliedrico e trasversale scrittore, critico e editor. Nel capoluogo emiliano, presso la biblioteca dell’Alliance Française, in via de Marchi, 4, si può anche accedere ai libri del Fondo Luigi Bernardi, ottocento titoli in lingua francese di genere polar, comprendenti intere collane editoriali, alcune delle quali storiche, come la
Série Noire di Gallimard, la
Rivages Noir, la
Suite Noire,
Futuropolice e i mitici
Bouiquins.
Il pezzo è reperibile, assieme a molto altro materiale degno di interesse, sul sito
www.luigibernardi.com:
Il Vento dell’Est
Se sarà lì con te, fa che non pianga mai
che non abbia mai freddo, che non soffra mai più
e fa che i suoi capelli siano sempre più lunghi,
perché solo così è più bella che mai.
Quando il vento dell'est mi porterà il profumo dei capelli suoi.
(Gian Pieretti,
Il vento dell'est,
canzone legata nella mia memoria a Satanik. Ciao, Marny).
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© Max Bunker/Luciano Secchi[/caption]
I fumetti neri incominciai a leggerli nel 1964. Avevo undici anni e mezzo. Come buona parte dei miei coetanei ero un patito di
Capitan Miki e
Blek Macigno. Tex no, Tex non mi piaceva. Come non mi piace ora: troppo adulto per dei bambini, troppo infantile per degli adulti, perfino per quelli che fingono di non essere cresciuti mai.
Un amico, Angelo Lamberti – che chiamavamo Lambo – un giorno mi prende da parte e fa il gesto di volermi mostrare qualcosa di sufficientemente proibito da non poter essere sbandierato agli occhi di tutti. Era un
Diabolik,
il numero 7, credo,
Terrore sul mare, o qualcosa del genere.
Aveva una copertina molto diversa da quelle che si vedevano normalmente nelle edicole. La dicitura
"per adulti" – immagino ci fosse, ma non ricordo bene – doveva poi aggiungere quel tocco di proibito capace di scardinare ogni eventuale resistenza e di innescare un meccanismo che sarebbe stato difficile in seguito fermare. E che infatti non si fermò.
Lambo, il Diabolik me lo passò perché lo leggessi. Cosa che feci e che mi procurò una specie di brivido insolito che non volli, né probabilmente seppi, capire più di tanto. Il giorno dopo, comunque, in preda a una sorta di delirio ipnotico inforcai la bicicletta e andai pedalando forte in Via Libia dove, dentro a una specie di baracca di legno e lamiera, c'era un tipo che vendeva fumetti usati. Da lui avevo comprato molti albi a strisce (soprattutto le raccolte in volumetti da 120 lire) di Blek e Miki. Da lui, quel giorno, mi feci tutta la collezione di Diabolik, tranne il numero 3 che riuscii a ottenere soltanto qualche mese più tardi, pagandolo il doppio degli altri.
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Ma ormai la strada era senza ritorno. In una delle tante edicole che frequentavo quasi quotidianamente scoprii
il primo numero di Kriminal, e poi quello di
Fantax (che quasi subito divenne
Fantasm), di
Demoniak, di
Mister X, di
Satanik, di
Sadik, di
Spettrus, di
Jnfernal, di
Zakimort, di
Atoman contro Killer, e di tutti quegli altri che andarono a formare, prima, e a ingrossare, dopo, il plotone dei fumetti neri.
C'era poco da fare, era troppo difficile resistere e
loro diventarono i miei eroi, gli eroi che
mi accompagnarono per tutta la pubertà e l'adolescenza, per lasciarmi solo qualche anno dopo, quando se ne andarono cedendo il passo, in seguito all'irritante successo di
Isabella e
Goldrake, ai beceri epigoni che conquistarono il mercato grazie ai facili gusti delle generazioni successive alla mia.
Un giorno, ma sono anni che me lo riprometto, scriverò un intero libro su quei personaggi, ho già il titolo, che è bellissimo:
Maschere di Male. E un sottotitolo, altrettanto bello: "I ladri d'innocenza del fumetto italiano".
Già perché, alla fine dei conti,
i fumetti neri non fecero altro che rubarci l'innocenza, a noi giovani lettori cresciuti immersi nello sdolcinato miele Disney e nell'appiccicosa melassa Esse-G-Esse. Cosa volevate che ne sapessimo noi della vita, condannati ai biliardini dell'oratorio del prete, a una scuola che cercava di commuoverci raccontandoci le imprese di Furio Camillo, Pietro Micca e i fratelli Bandiera, a una radio e una televisione che era un grande lusso il solo avercela in casa, a giornali che non avremmo mai potuto capire (la congiuntura? Il boom? Il centro-sinistra?).
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Ce la rubarono, l'innocenza, dandoci in cambio una certa idea della vita che alla fine dei conti si rivelò quella giusta. Una vita fatta di scontri, di idee da difendere, di tesori da conquistare, di donne da amare, di giustizia da temere, di furbastri da evitare, di sogni da rincorrere, di barriere da infrangere, di dolori da subire.
Così, solo pochi mesi dopo, quando dall'Inghilterra prima e dagli Stati Uniti poi arrivarono il beat e via via tutte le nuove correnti musicali che affondavano le proprie radici in un generico rifiuto della società, noi che avevamo letto i fumetti neri fummo i primi a farle nostre.
Così quando solo qualche anno dopo quella protesta, da semplice conflitto tra chi portava i capelli lunghi e chi avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di tagliarglieli, arrivò a toccare temi più universali quali la libertà, la democrazia, la pace,
noi che avevamo letto i fumetti neri fummo i primi a occupare le scuole, a marciare per le città e a sederci in circolo attorno alle tende di solidarietà per il Vietnam a cantare le canzoni di Bob Dylan e Joan Baez. Non che fossero manifestazioni fondamentali, però un pezzetto di storia l'hanno cambiato lo stesso. Ed è stato bello esserci.
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Il manifesto del film "Satanik" di Piero Vivarelli e l'interprete, Magda Konopka.
Perché non è vero, come qualcuno sostenne e come qualche altro pensa tuttora, che i fumetti neri ci avessero insegnato a diventare tutti delinquenti, stupratori, ladri, assassini, onanisti, esseri insomma amorali e senza un briciolo di umanità. Qualcuno probabilmente sì, ma se fosse solo per quello bisognerebbe calcolare anche i disastri provocati da un giochetto stupido come il Monopoli.
Vero è il contrario.
La caparbia conquista della bellezza di Satanik,
il fato crudele che riversava tutta la sua ineluttabile perfidia contro Kriminal,
il decisionismo ante-litteram di Diabolik e Sadik,
la dolcezza degli occhi di Zakimort,
la coglioneria di Atoman che non sapeva opporsi al cinico ma efficace savoir vivre di Killer,
le buone maniere da canaglia di Mister X,
l'incertezza morale di Spettrus,
il becero sessismo di Jnfernal,
ci insegnarono a non dare mai nulla per scontato, a guardare dietro le facciate, a entrare attraverso le porte aperte, a imparare ad aprire quelle chiuse, a essere uomini proprio mentre cercavamo di diventarlo.
Non sono una persona che soffra di nostalgia o che ami amareggiarsi al suon di rimpianti. A volte però mi capita di ricordare le emozioni che provai in quegli anni leggendo semplici storie a fumetti come
Omicidio al riformatorio,
la quinta avventura di Kriminal che mi fece scoprire i primi brividi del sesso, o come
La notte del mostro, la prima storia di Spettrus, così ben congegnata da farmi vivere giorni di ansia spasmodica in attesa che uscisse la seconda, o come
Notte di sangue, il primo, da antologia, episodio di Jnfernal, talmente ben sceneggiato che di tanto in tanto mi capita di rileggerlo con piacere,
o come tante storie di Satanik così coinvolgenti da non volersene staccare mai, o anche come – ma ce ne sarebbero parecchi altri – taluni episodi di Diabolik, freddissimi eppure perfetti.
Erano emozioni vere, pari a quelle che provai in quegli stessi anni leggendo i classici della letteratura, leggendo
Delitto e Castigo e
Bel Ami,
La Certosa di Parma e
Anna Karenina,
Don Chisciotte e
Le Illusioni Perdute. Emozioni che appartengono alla vita, la segnano, la illuminano e la cambiano.
Così sono giunto a due conclusioni. La prima è che la giusta chiave di lettura dei fumetti neri sia quella politica, politica nel senso che loro erano sempre, comunque e sovversivamente contro. La seconda è che una buona sferzata di nero è di nuovo indispensabile, oggi che i fumetti sono stanchi da morire e che la vita che ci scorre intorno è diventata più merdosa che mai.
(Luigi Bernardi, aprile 1989)